Trascrizione integrale dell’intervista presente su YouTube
Testimonianza di Teresa Fantin (Resi Rossetto), 1903-1996, tessera del PCI dal 1924,
raccolta nel settembre 1987 nella sua abitazione in via Alzaia a Fiera.
raccolta nel settembre 1987 nella sua abitazione in via Alzaia a Fiera.
Lingua parlata: dialetto veneto di Treviso. Registrazione di Camillo Pavan. (Cassette 1987.23ab e 24a)
Teresa Fantin (Resi Rossetto): antifascista, perseguitata politica e militante comunista di Fiera, Treviso - Foto 09.1987 |
«Abitavo a Lanzago e sono figlia di socialista.
- Ma i fratelli Rossetto erano di Fiera o di Silea?
Erano di questa casa qua [Fiera]
- Ah, lei è la moglie! E si chiama?
Teresa Fantin. Abitavo a Lanzago e ho sposato un Rossetto.
- Di nome? Perché deve ancora dirmi i nomi dei quattro fratelli Rossetto.
Dunque: Antonio, del 1893; Giovanni [Pompilio], del 1896; Sante (Gigi, lo chiamavamo), del 1898; e [Emilio] Dante, il più giovane, del 1903, come la sottoscritta.
- E lei ha sposato Dante?
No, io ho sposato Sante.
Il loro papà…
- … che si chiamava…
Giovanni Rossetto.
- Di soprannome?
Busarona. Nane Busarona.
- Anche i suoi figli erano “Busarona”?
No, solo Rossetto. Questo soprannome finì con la morte del papà.
01:10 - Il papà faceva el peota?
Peota.
- Quindi era un esperto della navigazione sul Sile.
Era un esperto. Però in quei tempi non c’era nemmeno una bicicletta, tanto che la moglie - che era mia suocera (una creatura intelligentissima, che non sapeva né leggere né scrivere, ma aveva un’intelligenza… ) - dormiva sulla testiera del letto per aspettare la mezzanotte, perché a mezzanotte doveva svegliare il marito che doveva portarsi a piedi fino a Portegrandi. Lì saliva sul barcone che guidava nella risalita lungo il Sile.
Il pilota l’hanno fatto il padre e il primo figlio, Antonio, anche lui un bravo pilota.
02:04 Gli altri figli, invece, hanno fatto gli scaricatori. C’erano i barconi che venivano qua…
- Al “Forte Makallè”?
No, al mulino Purina.
- Che si chiamava come, all’epoca? Mulino “Cereali”?
Sì, el Cereali, lo chiamavano. C’era un silos che tirava su. Ma nei primi tempi caricavano i sacchi e, con una passerella, li portavano dentro. Ma dovevano portarli anche ai piani superiori, i sacchi.
- A spalle!
A spalle.
- Tutti e tre gli altri fratelli facevano gli scaricatori, i facchini?
Sì, tutti e tre.
- La località qua davanti [casa vostra]…
… arrivavano i barconi anche qua.
- Come si chiama questo posto di Fiera?
Via Alzaia, Fiera.
02:52 - Dove avevano trovato, questi ragazzi, la “passione” per il socialismo, per il comunismo? L’aveva già suo papà?
Il papà era semianalfabeta. Era di Meolo, e doveva andar militare. Volevano che si pagasse il viaggio. “No, ha detto, che non mi pago il viaggio. Se volete che vada a fare il militare, pagatemelo voi”. Sicché i carabinieri, giocoforza, l’hanno preso per portarlo in prigione, e lui ha preso i carabinieri e li ha buttati dentro sul fiume Meolo.
Quest’uomo diceva ai figli: “Non fate mai quello che vi suggeriscono i padroni. Anche, ad esempio, se dovreste andare a votare: Non fare quello che vi dicono i padroni, perché i padroni sono i tuoi nemici”.
- È stato il padre, praticamente, ad iniziarli.
Ecco, con questa forma rudimentale di ideologia, ha influito sui ragazzi, che non erano degli stupidi. E questa famiglia è stata il fulcro di Fiera per l’espandersi dell’antifascismo. [...]
- Dopo, durante il fascismo ha sempre avuto noie. Ogni volta, come mi diceva all’inizio, che veniva qualche manifestazione venivano portati dentro…
04:09 Nel 1926, con la Legge eccezionale, sono stati mandati al confino.
- Tutti e quattro?
Tutti e due. L’altro, il più piccolo, era già fuoriuscito in Francia e visse in Francia.
- Il più piccolo si chiama?
Dante [Emilio]
- In Francia, dove?
Che sappia io era a Lione
- Ed anche è morto là, dopo la guerra?
Sì. Ha partecipato anche alla guerra di Spagna, contro Franco, nelle Brigate Internazionali.
[Dante Rossetto «Nel giugno del 1938 si porta in Spagna ed è assegnato alla brigata Garibaldi. Ferito sul fronte dell’Ebro. Rientrato in Francia , è internato a Gurs». Dal sito dell’Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti in Spagna - AICVAS - consultato il 15.7.2016].
- È morto in che anno?
È morto anche abbastanza giovane, a 57 anni, nel 1960.
05:03 - Gli altri due fratelli che sono stati messi al confino, chi erano?
Sante [detto Gigi] e Giovanni [detto Pompilio].
- Dove?
Prima a Tremiti, dove a quel tempo c’era soltanto il castello e abitanti ce n’erano pochissimi; dopo … li hanno divisi i due fratelli, prima li hanno mandati assieme a Tremiti; dopo uno lo hanno mandato a Ustica e uno a Lipari.
- Si ricorda chi hanno mandato a Ustica e chi a Lipari?
Sante a Ustica e Giovanni a Lipari. Poi i due fratelli hanno fatto domanda di unirsi e gli hanno concesso [di stare entrambi a Lipari].
- Erano già sposati?
Sì, altroché!
05:55 - E come faceva in quel periodo? È andata giù anche lei, è rimasta qua?
Succede che … pieni di fame, eravamo. Là non gli davano mica lavoro, perché gli hanno chiesto tante volte che prendessero la tessera del fascismo, ma loro non hanno mai ceduto. E questo ha fatto sì che la sottoscritta è diventata più comunista di loro.
- Pochi sono stati quelli che in quel periodo non hanno preso la tessera.
Neanche i miei bambini ho mai voluto iscriverli alle “piccole Italiane” o ai “giovani fascisti” e ci hanno detto che non ci avrebbero passato neanche i libri, che ne avevamo non bisogno, ma estremamente bisogno.
- Quanti figli aveva?
In quel tempo ne avevo tre, adesso ne ho cinque.
- Hanno avuto dei problemi, i suoi figli?
Certamente. Erano segnati, non gli davano né la merendina né niente, niente.
- I compagni di classe cosa dicevano?
… Eravamo tutti ugualmente poveri. Io sono andata a lavorare per mettere su un po’ di farina alla sera, un po’ di formaggio.
07:09 - Dove è andata a lavorare?
Sulle strasse, dove mi hanno preso, fiol!
- Cioè, a far cosa?
La cernita degli stracci * *
- Da Saterini?
Sì, da Saterini. Così abbiamo tirato avanti, non è morto nessuno.
L’hanno mandato al confino … e adesso sentirete anche me, mi son detta.
Sono andata in questura e ho detto che non sono in condizioni di mangiare. Perché era uscita una disposizione (non una legge) che per chi non era proprio in condizioni di mangiare gli passavano, diciamo, un’una tantum.
Io non mi sono persa d’animo: sono andata in questura e gli ho detto che non ero in grado di mantenere i figli.
08:11 “Manderò a vedere i carabinieri a casa sua”, dice.
Vengono i carabinieri, passa il tempo, non sento nessuna risposta. Torno in questura, torno dallo stesso commissario e gli dico: “E allora?”
“I carabinieri mi hanno risposto che lei non ha bisogno”.
“Davvero?”, gli ho detto. “Allora vuol dire che sono dei bugiardi, i carabinieri, o che non si sono interessati di prendere notizie su di me”.
“Come osa a diffamare l’arma dei carabinieri?”.
“Eh sì, se hanno detto così sono dei bugiardi. E se lei crede ai carabinieri - che non so neanche se glielo abbiano detto - mi mandi uno dei suoi uomini della questura; lo mandi”.
“Va bene”, ha detto.
Ed è venuto.
09:08 Dopo diversi giorni mi sono ripresentata in questura, e mi sono seduta. C’era Marasciullo, vicequestore.
“Che cosa vuole?”, dice.
Spiego: “Così, così e così”.
“Bene, domani mattina porti una domanda, una lettera”.
“Va bene”.
Me la sono scritta io la lettera, perché [inizialmente] me l’ero fatta scrivere da una maestra e c’erano dentro parole come “misericordia”, “pietà”, ecc. “Cosa”, le ho detto, “che io domandi misericordia e pietà? No!”. Ho buttato via la lettera e l’ho scritta io.
Torno in questura. Ho incontrato il commissario, che ha detto: “Chi ha scritto questa lettera? Sembra scritta da un generale!”
10:03 “La giudichi come vuole”.
Dopo quindici giorni mi è arrivato il sussidio, e siccome c’era la possibilità di raggiungere i mariti confinati, prendo e via: vado a Lipari, con quei sodi là.
- Com’era la vita, là?
[A Lipari, in precedenza] c’erano i condannati comuni, però in quel tempo non li mandavano più. Quando a Lipari hanno sentito che venivano dei “politici” la gente del luogo ha iniziato a demolire il castello, perché andavano sul castello a dormire: appena che entravano andavano a dormire là.
Dopo, invece, hanno iniziato a fare amicizia con i confinati politici.
10:54 Quando andava via un confinato politico c’era la coda che andava ad accompagnarlo all’imbarcadero.
- Addirittura…
Perché questi confinati politici avevano un comportamento molto civile.
- All’inizio non li volevano, invece.
Non li volevano perché avevano l’esperienza dei condannati comuni, di quelli che avevano rubato. Puoi immaginarti che differenza c’è con il politico. E poi avevamo anche [Amadeo] Bordiga, in quel tempo là, avevamo tanti intellettuali, tanti deputati comunisti. Più di tutti, al novanta per cento, erano comunisti. Condannati, confinati politici
11:39 - Come vivevate, come mangiavate, cosa facevate?
Gli davano “la mazzetta”, dieci lire al giorno.
- Ah, gli davano qualcosa.
Sì, dieci lire al giorno, e con questo ci si destreggiava per mangiare. Dopo, a questi confinati politici, i signorotti del luogo - chiamiamoli così - visto che tanti sapevano fare un mestiere [li chiamavano per qualche lavoretto]. Mio cognato sapeva fare il falegname, mio marito faceva un altro mestiere e così, in aggiunta alle dieci lire della mazzetta, sbarcavamo il lunario.
12:21 - Fino a che anno siete stati là?
Dal ’26 io sono venuta a casa nel ’29, nel ’30.
- E il marito?
Mio marito doveva stare là cinque-sei anni. Ho cominciato ad andare in questura, non mi sono mai persa d’animo, perché anche se non avevamo da mangiare, il problema politico era insito in me stessa. Era la linfa di tutto. […]
Sono andata in questura a fargli “la conta”, chiedevo “ma dov’è il sussidio?”. E scrivevo lettere come volevo io…
- Non tramite la maestra!
No.
- Dopo quanto sono tornati?
Il questore - che ha visto anche le condizioni … perché io non mi presentavo con parolacce, mi presentavo come dovevo presentarmi - ha tenuto conto anche di questo comportamento e si è impegnato a farli venir casa. Nel 1932 sono venuti a casa. […]
13:56 - Hanno ripreso a lavorare?
Hanno ripreso a lavorare sempre come scaricatori, facchini. Dopo mancava il lavoro e si sono fatti un batèo [barca da fiume]; se le sono fatte loro, due barche. Andavano a pescare, andavamo anche a vendere il pesce, e così abbiamo tirato avanti.
- Dove andavano a pescare?
Lungo il Sile e nel laghetto in fondo [cave di ghiaia in zona Casier- Silea]. Era una vita magra, ma insomma non siamo morti, no, neanche allora.
- Ho visto un articolo su un giornale [Gazzettino], del 1928, che a Fiera hanno fermato un comunista arrivato da Modena. Per dire, c’era sempre un movimento. Oltre ai fratelli Rossetto ce n’erano anche degli altri, c’era qualcosa che continuava, o no?
Beh, i fratelli Rossetto “hanno fatto largo” e dopo anche i più giovani sono venuti a iscriversi al partito; no a iscriversi: si sentivano comunisti anche loro.
- Avevate proprio la tessera?
15:03 Pensa che la mia prima tessera è del 1924.
Quando sono andata a lavorare ho condotto una battaglia del lavoro per le otto ore.
- Nella ditta di raccolta stracci.
Sì.
- Eravate in pochi là a lavorare.
Eravamo in pochi e abbiamo ottenuto le otto ore.
- Non aveva paura di essere licenziata?
Ohh! Quando arrivavo alla mattina, loro mi dicevano … ma non ci volevano mica male, eravamo in tre sorelle là, ed eravamo tutte brave a lavorare. Erano anche buona gente. Insomma noi abbiamo ottenuto queste otto ore … e alla mattina, quando arrivavo: “È arrivato Livorno!”. La scissione di Livorno del partito comunista, nel 1921. [...]
15:56 Il bagno sul Limbraga.
[Uno dei miei figli] è andato a nuotare sul Limbraga con altri ragazzi. È venuto fuori il maresciallo dei carabinieri di Fiera e prende mio figlio. Poro ceo, era un bambino.
“Chi sei tu?”, dice.
“Rossetto”
“Ah, ti si vede nella faccia!”
Quando il bambino me l’ha raccontato - era sensibilissimo questo ragazzo, ha sessantun anni adesso - vestita così com’ero sono andata in caserma.
“Cosa vuole?”
“Voglio parlare col maresciallo”
“Non si può”
“Devo parlare col maresciallo. Mi faccia introdurre che devo parlare col maresciallo”
Insomma ho insistito finché sono andata a parlare con lui. E gli ho detto:
“Mi scusi, sono la mamma di Wladimiro Rossetto, che lei ha segnato”
“Sì, l’abbiamo trovato con le mutandine, si pensi…”
“Perché, vuole che vada a fare il bagno vestito? Voglio sapere che segni particolari ha mio figlio che li si vede in faccia”
“Io non ho detto niente”
“Ma ha coraggio anche di dire delle bugie? Non si vergogna?”
- Non aveva paura di niente!
No, quando avevo ragione, non avevo paura di niente.
17:19 La casa del fascista
Il proprietario della casa dove abitiamo, dicevano che era fascista.
Bene. È venuto a trovarci, poverino, quest’uomo, che era Camarotto [Camerotto] da Santa Lucia di Piave e aveva una bottega di stoffe. Ci ha trovati d’inverno, senza fuoco, senza niente. È andato via, e per dieci mesi non ha voluto l’affitto.
Posso dire male di quell’uomo là? Sarà stato fascista, poverino…
- Suo marito era al confino?
Al confino.
“Se quella povera gente soffre” - penso io che abbia detto, e credo lo abbia detto - “per colpa del fascismo… ” (era iscritto al fascismo magari per forza).
Non ha parlato. Eravamo quattro famiglie in quattro stanze… Beh, non ha voluto i soldi dell’affitto.
18:25 Dopo [la guerra], bisogna che la dica questa, dice: “Io quella casa la vendo. Non ho nessun interesse a tenerla. La comprate voi”.
Con cosa la compravamo noi? Che non c’erano cinque schei, che non c’era niente! Come fai a comprarla?
E aspetta, e aspetta; aspetta due anni.
Pensa che questa casa ce l’ha lasciata per duecentocinquantamila lire, tutto compreso, anche fuori.
“Sono tanti anni che siete dentro, ho piacere di darla a voi”.
E c’era una signora che aveva offerto, allora, due milioni.
Ma vuole che non ringrazi quest’uomo qua?
- Camerotto, come si chiamava?
Antonio.
- Aveva il negozio …
… a Santa Lucia di Piave». * * *
PS
Nel dicembre del 2015 uno dei nipoti di Resi, Filippo, mi chiese l’audio dell’intervista. Nell’occasione mi comunicò la data di morte della nonna, con queste parole:
«La "RESI" è venuta a mancare il giorno di Natale del '96 ... atea, ha fatto un'uscita con stile!»
*
Nota bibliografica: Per approfondire e inquadrare la figura dei Rossetto e l’operato di socialisti e comunisti a Fiera: Alessandro Casellato, Una piccola Russia, Un quartiere popolare di Treviso tra fine Ottocento e secondo dopoguerra, Cierre - Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea della Marca Trevigiana, 1998. In particolare i capitoli 3 “La roccaforte di socialisti trevigiani”, 4: “Derive e approdi negli anni del fascismo”, 5 "Resistenze e opposizioni" in cui sono citate le lettere alle autorità - presenti nei fascicoli del Casellario politico centrale - di Cesira Dal Bo (moglie di Giovanni Rossetto), di Teresa Fantin, e una lettera alla mamma di Emilio "Dante" Rossetto, esiliato in Francia.
*
Informazioni video
Informazioni video
Canale: intervistepavan // Data di caricamento: 15 luglio 2016 12:27 // Durata: 19:20 // https://youtu.be/JF73brSeAwU
* *
Sulle condizioni di lavoro alla Saterini di Fiera, ecco cosa scrive il settimanale del PCI di Treviso "Il lavoratore", vent'anni più tardi, il 14 dicembre 1946.
D'estate questo lavoro, che è sempre grave e ingrato, diviene nauseabondo e quasi insostenibile per le esalazioni che ammorbano l'aria e rendono difficile la respirazione e provocano negli organismi più deboli gravi conseguenze all'apparato respiratorio.
Molti sono i casi di tisi e di malattie che conseguono a questo lavoro, ma nulla è stato fatto per la difesa di queste lavoratrici; e particolarmente turba il pensiero che giovani esistenze siano esposte a lavori tanto penosi e nocivi».
* * *
* *
Sulle condizioni di lavoro alla Saterini di Fiera, ecco cosa scrive il settimanale del PCI di Treviso "Il lavoratore", vent'anni più tardi, il 14 dicembre 1946.
Saterini a Fiera di Treviso, lavorazione stracci, ferro e ossa. Condizioni di lavoro. (Il lavoratore, settimanale del PCI di Treviso, 14.12.1946) |
Alla cernita degli stracci
«Ma i più scottanti problemi sono stati posti dalle giovani occupate nello stabilimento per la lavorazione degli stracci, dei rifiuti ferrosi ed ossei. Queste ragazze lavorano in magazzini bassi e bui dove la aerazione è del tutto insufficiente, l'atmosfera pesante e polverosa. Mancano i necessari impianti igienici. Il lavoro più grave non è quello della scelta degli stracci ma quello della scelta dei rifiuti ossei.D'estate questo lavoro, che è sempre grave e ingrato, diviene nauseabondo e quasi insostenibile per le esalazioni che ammorbano l'aria e rendono difficile la respirazione e provocano negli organismi più deboli gravi conseguenze all'apparato respiratorio.
Molti sono i casi di tisi e di malattie che conseguono a questo lavoro, ma nulla è stato fatto per la difesa di queste lavoratrici; e particolarmente turba il pensiero che giovani esistenze siano esposte a lavori tanto penosi e nocivi».
* * *
Negli anni cui si riferisce la testimone, a Santa Lucia di Piave era attiva la storica “Tessitura Camerotto”. Una foto del cav. Antonio Camerotto all’inaugurazione della bandiera della Società Operaia Santalucese, nel 1923, è presente nell’Archivio Storico Fotografico del comune di Santa Lucia di Piave, fondo Innocente Soligon. https://comunesantalucia.it/picture.php?/236 .
Antonio Camerotto, dopo essere stato consigliere comunale di Santa Lucia di Piave dal 1923 al 1928 ne è stato anche sindaco dal 1945 al 1946, nominato dal CLN. (Innocente Soligon, Le grave mobili… Santa Lucia di Piave nella storia, Comune di S. Lucia di P. 1984, pp. 223–26).
Nessun commento:
Posta un commento