lunedì 3 novembre 2014

Oasi di Cervara (Parco del Sile). Origine e storia - 1984/2014 - nel racconto del suo "padre nobile" Giorgio Libralato

Trascrizione integrale dell'intervista effettuata il primo di agosto del 2014 presso l'abitazione di Libralato, 
sede dell'Associazione Cultura e Tradizione Contadina, Santa Cristina di Quinto - Treviso.

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Giorgio Libralato - fondatore Oasi Cervara Santa Cristina di Quinto 
(Treviso) - a fianco di un Super Landini (1939) della sua collezione.

- Non è una battuta dire che sei il padre fondatore dell'Oasi. 
L’iniziativa sicuramente è partita da me, perché io ho fatto il diavolo a quattro in Comune.
Ho avuto la fortuna nel 1975 di entrare in amministrazione comunale a Quinto e di avere anche la forza di poter trattare. Con il mio sindaco Favaro Luigi, una bravissima persona, corretta e disponibile, ma condizionato da altre forze all'interno della DC - perché c’erano tante correnti - questo affare non si sarebbe mai fatto. 
Pian pianino lavorando all'inizio anni '80 (assieme a Carla Puppinato) con il mondo della scuola media ed elementare, sensibilizzando sull'ambiente, eccetera, siamo arrivati al 1984, anno in cui stava per essere venduta quell'area e comprata per creare un’ulteriore peschiera [allevamento ittico, troticoltura] e la palude sarebbe sparita. 
Io, come amministratore, assessore all'ecologia e vicesindaco, ho detto: «No, dobbiamo salvare questo francobollo che è l’ultimo ad essere rimasto ancora intonso, integro. Quindi dobbiamo tenerlo stretto». Con il sindaco abbiamo fatto un po' di braccio di ferro perché lui temeva l’opposizione interna, più che esterna, e siamo arrivati al 19 aprile 1984. Facciamo l'incontro con Bortolo Salvador che era il proprietario dell’area. Salvador aveva acquistato tutti gli appezzamenti di palude che prima erano di tanti proprietari: ha avuto il merito di metterli tutti assieme e poi aveva iniziato a fare i ponti per poter avere l'accesso a questa area. 
A questo punto dapprima noi abbiamo bloccato i lavori e non abbiamo dato l’autorizzazione; poi i Durigon, quelli che volevano comperare e quelli che sono stati i miei persecutori per vent'anni, si sono messi di traverso e non hanno fatto entrare Salvador. E questo è stato un merito dei Durigon, che senza volerlo ci hanno dato una mano.
Perché Bortolo Salvador cosa ha detto? «Io non vendo a chi mi fa la concorrenza»; sapeva che la spregiudicatezza di questa famiglia sarebbe arrivata al dunque lo stesso, cioè a realizzare la peschiera, perché con le “benedizioni” che aveva alle spalle, con la determinazione che aveva con i tanti figli - parte di palude, un piccolo appezzamento lo possedevano già loro di famiglia - avrebbero sicuramente raggiunto l'obiettivo.
Però ci siamo messi di traverso noi come amministrazione comunale e Bortolo Salvador che ha saputo questa cosa ha detto «piuttosto di vendere alla concorrenza è meglio che venda al Comune». 
Quindi abbiamo comprato noi e abbiamo fatto il preliminare il 19 aprile 1984: io, il segretario comunale e Luigi Favaro; intanto che stavamo facendo il preliminare abbiamo chiamato l'assessore Carla Puppinato, così eravamo in tre della giunta. 
- Dicevi che c'erano contrasti interni. 
Sì, perché i dorotei non avrebbero mai acconsentito, perché erano coltivatori diretti, proteggevano quelli che volevano fare la peschiera, avevano altri interessi, altri fini. 
- La produttività. 
Esatto, e poi anche c’erano i due campanili: Quinto e Santa Cristina. [Libralato a questo punto dell’intervista passa in rassegna gli antichi motivi di divisione campanilistica fra le varie frazioni del comune di Quinto].
- Restando al caso specifico della peschiera vi siete ritrovati con questa contrapposizione. 
All'interno della maggioranza, la Democrazia Cristiana, c'erano i fanfaniani che facevano capo a me e al sindaco e c'erano i dorotei che facevano capo a Bepi Sartor e ad altri. E questi non avrebbero mai approvato. Avevamo contrari sia i socialisti che i comunisti e la Lega, e quindi mai avremmo comperato.
Salvatore Santangelo, che era capogruppo del PCI a quel tempo, ha detto che queste cose doveva farle la regione, perché erano cose di livello regionale: bella l'idea, tutto bello, però con i soldi del comune di Quinto si dovevano fare altre cose. Ma se noi aspettavamo la Regione Veneto, campa cavallo… e l'Oasi di Cervara non sarebbe stata salvata. Oasi di Cervara che, nell'idea dei più illuminati della provincia di Treviso doveva diventare una “riserva orientata”, e si parlava di Quinto, Morgano, Istrana, Vedelago e Piombino Dese, in provincia di Padova, se voleva starci.
Poi quando siamo arrivati agli anni '90, che in Regione cominciava a montare la storia dell'ecologia e che i voti si cominciavano a prendere da quella parte, l'assessore regionale Marchetti ha sollevato la questione con Bernini, si è messo d’accordo con Bernini e nell'ultima seduta del 1990, hanno detto: «O facciamo tutto il Parco del Sile o non se ne fa nulla. Quindi dobbiamo partire dalle sorgenti e arrivare in laguna». Ecco che nel 1991, con la legge n. 8, viene istituito il Parco del Sile. 
- Restiamo a questo momento cruciale. Tu ti sei impuntato contro l'opposizione interna del tuo partito… 
Certo. Per questo li abbiamo messi di fronte al fatto compiuto. 
- È stato un po' un colpo di mano, insomma. 
Certo, e poi siamo andati in pre-consiglio. Oh, cose che non ci mangino! Eugenio Manzato per primo, Luigino Marangon… 
- Il professor Manzato? 
Sì. 
- Se la sono presa perché? 
Perché non li avevamo messi al corrente, perché così, perché colà. Se noi li mettevamo al corrente, quelli lì spifferavano ed era finita la storia. 
- Invece voi avete preparato tutto… 
Abbiamo dovuto fare una cosa alla KGB. In senso buono, ovviamente. 
- In questa maniera vi siete guadagnati un posto nella storia! Siete stati i primi a salvaguardare il fiume in maniera reale.
 Io non ho mai cercato posti nella storia, perché la storia si fa da sé.
 - Certamente. Ma piuttosto che avere un allevamento di trote è meglio che la palude sia stata salvaguardata.
Io ho dei ricordi bellissimi. Mio padre andava a caccia lì, mio padrino Giovanni aveva casa lungo il fiume Sile, e barca, e lui viveva di caccia e di pesca - oltre che dei suoi beni - e tante volte io andavo in barca assieme a lui. Poi avevo un altro cugino che era un bravissimo pescatore di temoli e delle volte mi ha portato in posti in cui nessuno mi aveva mai portato. E ho capito, ma avevo dieci-undici anni, che il posto era meraviglioso e che doveva essere salvaguardato. 
- Al di là di tutte le traversie che hai avuto, un giudizio spassionato, adesso, a trent'anni dall'inizio dell'avventura. 
Abbiamo messo in cassaforte un qualcosa che non è né valorizzato né utilizzato. 
- E sì che vedo tantissime persone che frequentano l'Oasi. 
Sì, però, oltre all'Isola, che cosa c'è? E poi l'Oasi è veramente in mano giuste?
 - Non so neppure di chi “sia in mano”. 
E qua mi fermo.
Il Parco, per me, deve essere un fiore all'occhiello dove la gente si “riscontra”; che viene mantenuto come negli anni '60; che è fonte di bene e di progresso e non un ricettacolo come quando l’abbiamo preso in mano o forse anche peggio. Chiudo.
 - Quindi un giudizio piuttosto netto e non positivo.
Non è stato fatto nulla a parte scrivere carte e fare ponticelli e altre piccole cose, e non sempre dove servono. Andiamo, il Parco è un'altra cosa! Va bene che la politica ha altri obiettivi ma… 
- … lo spirito e la passione che avevate voi all’inizio… 
Io non voglio che nessuno debba patire quello che ho patito io e che debba fare quello che ho fatto io, però credo che se abbiamo un tesoro debba essere valorizzato; e se non è un tesoro che si lasci andare per la sua strada.
- Così com'è non è valorizzato.
Non è né questo né quello, siamo ancora in mano alle pastoie politiche, alla burocrazia. Abbiamo scritto fiumi di carta, ci sono montagne di documentazione, ci sono idee e aspettative infinite, ma [sono] là. 
- Ho visto che hanno lasciato costruire in certe zone.
Non so, ci sono dei comuni che non possono e altri che possono tutto: Treviso ad esempio ha costruito dappertutto. E perché Quinto non può, Morgano non può … che politica è questa qua? Il Parco c'è o non c'è? O è fatto a luci e ombre. Io non lo so, perché non ho in mano gli strumenti e quindi dico “non lo so”, però a lume di naso dico così; però non ho il vangelo io, in tasca. 
- Diciamo che lo spirito dell'84 non c'è, non lo vedi.
 Noi eravamo motivati dalla passione e non è detto che tutti debbano avere la passione, però voler bene al proprio territorio, almeno quello, sì. Sennò, se [il Parco] è solo per angariare la gente non va bene; o solo per fargli tirare la volata ai soliti noti e ai soliti furbi…
Spegni quel robo là. Spegnilo!
È spento? Bene.

Locandina dell'ultima edizione 
(maggio - giugno 2014) di
Memorie sull'aia e il futuro dedicata alla 
emigrazione e organizzata
dall'Associazione Cultura e Tradizione
Contadina
, altra "creatura" - oltre all'Oasi di Cervara -  

di Giorgio Libralato (S. Cristina di Quinto Treviso).
Alle quattro serate hanno partecipato: Gruppo
Musicale Cantalora di Feltre, Amerigo
Manesso, Mario Marangon, Luigino Scroccaro 
(coordinatore degli incontri), 
Claudio Baldo ed Emanuele Bellò .


                                                              


Barca, barca del Sìe, barca da paƚù, cassèa da morto e pantana

Nel corso dell'intervista, una digressione è riservata al nome della barca a fondo piatto utilizzata nel Sile e nella palude di Santa Cristina. 
 - Mi nominavi questa barca. Una questione etimologica: come la chiamavate? 
Niente: “a barca del Sìe”, “a barca” “a cassa da morto” “a cassèa da morto”. “A cassèa da morto” perché ha un senso … [ricorda una bara].
- Ma la chiamavate così, all'epoca?
Sì, sì: “e xe cassèe da morto”, si diceva anche così, certamente.
- Da dove salta fuori questo nome “pantana”?
Pantana. Per i più colti, per i signori che venivano ... chiamarla “cassèa da morto”, chiamarla “a barca”, non era una roba corretta, fine. E loro che erano più eruditi, che scivolavano sul fango, su poca acqua, le hanno dato il nome “la pantana”. Per questo viene sempre messa tra virgolette e questa parola etimologicamente non è mai stata classificata da chi fa i vocabolari. 
Questi nobili le hanno dato il nome di “pantana”. Nobili veneziani, nobili trevisani, i signori che bazzicavano il corso del fiume Sile: questa è la storia che noi conosciamo. 
- Ma il nome più diffuso era?
“A barca da paƚù”, “a cassèa da morto”!


La barca a fondo piatto dell'alto corso del Sile
Barca, barca da palù, cassèa da morto o pantana?




                                                          

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