mercoledì 23 luglio 2014

Sedici anni nel 1953: lavorare alla ceramica Pagnossin di San Giuseppe, Treviso



Testimonianza di Teresina T., S. Angelo di Treviso, 1938, registrata a San Lazzaro di Treviso il 21 luglio 2014

«Sedici lire orarie?
- Sì, è scritto qua sul giornale.
Alla buon’ora, sedici! Se ne prendevano otto, e dopo - quando abbiamo cominciato a protestare e dicevamo che ci saremmo licenziate - ce ne davano undici, undici lire. E dopo… dopo non mi ricordo più, perché sono venuta via, può darsi che dopo abbiano aumentato la paga, no so. 
- Quindi da Pagnossin è rimasta poco.
Sono rimasta solo quattro-cinque mesi.
- Chi le aveva trovato il posto, per curiosità?
Il prete di Sant’Angelo, don Giovanni Favaretto.
- Andava in bicicletta a lavorare?
Sì.
- Passava per i ponticelli [dei mulini di Canizzano]?
No.
- Per dove andavate?
Facevo il giro per San Giuseppe.
- Perché non andava per i ponticelli?
Non so, non piaceva andare per di là: c’era l’acqua, c’era il Sile, e mia mamma mi ha insegnato la strada per di là, e io sono andata di là.
- Era bella lunga arrivarci in bicicletta.
Sì, era lunga, partivo un’ora prima.
- Quante ore facevate?
Facevamo otto ore di orario normale: dalle otto a mezzogiorno e dall’una alle cinque. Però dopo, con la scusa che dovevano insegnarci a lavorare sul tornio, su quelle robe là, ci tenevano là altre due ore, finché diventava buio. E quelle erano gratis.
- Beh, proprio gratis, vi avranno dato qualcosa anche su quelle!
No, no. In quelle ore dovevamo imparare.
- Come apprendiste.
Sì, come apprendiste. Eh, eravamo proprio “schiavette”, ecco…
- Per dirla in parole molto semplici.
Sì, ma adesso Pagnossin non esiste più…
- Lei di che classe è?
Del 1938. Quando sono andata da Pagnossin avevo quindici anni, sì, quindici, perché  a sedici anni sono andata da Appiani.
- Quanto ci ha messo a trovare il posto da Appiani, una volta licenziatasi da Pagnossin?
Eh, poco, poco, quasi niente.
- Erano richieste, allora, queste ragazze.
Sì, c’erano tante assunzioni, quella volta là. Sono andata un mese, mi pare, avanti indietro una volta alla settimana in portineria, e dopo mi hanno assunto.
- Anche da Appiani tramite il parroco?
No, il parroco mi aveva proposto di andare da Dal Prà, quello che è in fondo vicino allo stadio.
- Che faceva cosa?
Dal Prà faceva tessuti. Però avevo sentito dire che era un po’ traballante, l’aveva sentito dire mia mamma perché andava al mercato [ortofrutticolo] e sentiva le donne che parlavano e dicevano che Dal Prà era un po’ traballante … e difatti, dopo otto mesi che io avevo iniziato da Appiani, Dal Prà è fallito. Sono stata fortunata di essere andata da Appiani, sono stata là otto anni.
- Com’erano le condizioni da Appiani rispetto a Pagnossin?
Tanto bene, tanto meglio: erano tutti gentili, erano di quelli che “ci tenevano di conto” alle ragazzine, ai ragazzi, ai giovani.
Facevamo piastrelle. C’erano due reparti: la fornace e la ceramica. In fornace facevano i prodotti e in ceramica veniva scelti.
- E lei era?
In “cernita”. Era un lavoro discreto, buono, e anche prendevo tanti soldi, non mi sembrava neanche vero.
- Rispetto a…
Sì, si prendeva uno stipendio normale. Da pensare che mio marito, a quel tempo là — io avevo 18 anni e mio marito andava a lavorare da “Salice” [S.A.L.C.], qua a San Lazzaro — io prendevo 28 mila lire al mese appena entrata e lui ne prendeva 32 mila: più di un uomo. Prendevamo bei soldi, da Appiani.  
- Eravate trattate bene.
Sì, bene.
- Mentre il ricordo che ha di Pagnossin non è buono.
No. Dopo, quando io sono rimasta a casa non so, perché non ho più avuto occasione di parlare con nessuno, però fin che sono rimasta io, quei cinque mesi là, era  una roba…
- Ad esempio cos’era la roba più faticosa?
Le robe faticose erano “portare le tavole”. Facevamo i piatti, facevamo i tazzoni, facevamo i manici e dopo li portavamo in essiccatoio. Dovevamo fare le scale, portare le tavole sulle spalle, ed erano più quelle che cascavano, che andavo per terra… perché avevo quindici anni, pesavo quaranta chili, trentacinque, non so neppure quanti, e cascavo. Era una roba brutta, bruttissima; mi è rimasto un bruttissimo ricordo.
- Magari poi le decurtavano anche lo stipendio.
No, non se n’accorgevano neanche. Facevamo un fagotto e buttavamo là. Non era che fossimo tanto seguite e poi per quei soldi che ci davano…
- Vi eravate organizzate … qua [sul giornale] è messo che eravate andate dalle ACLI, dal sindacato…
No. Operaie normali. Non so neppure se eravamo in regola, perché quando sono andata all’INPS … non è l’INPS quello degli operai?
- Sì, quello della pensione.
… Quando sono andata là per vedere quanti contributi che mi avevano messo, da Pagnossin non mi avevano messo niente. Hanno detto che non trovavano niente; e neanche da un’altra parte che andavo. Sono andata anche in una tipografia, quando avevo quattordici anni, e neanche lì mi hanno messo contributi: un pochi di soldini in più, ma non contributi.
- Qual era questa tipografia?
La tipografia Crivellari, che era in piazza Sant’Agostino, poco più avanti … che dopo è venuta qua, l’hanno portata a Sant’Angelo, vicino a Tiffany. Avevano fatto un prefabbricato e vi avevano messo la tipografia Crivellari.
- Che adesso è Tiffany [pasticceria], là.
Ah, ecco: dopo hanno trasportato da Tiffany, vero!
- In somma il ricordo di Pagnossin…
… È il più brutto dei miei lavori.
- Il più brutto di tutti.
Sì.
- In quante ragazze sarete state, in tutto?
Eh tante. Eravamo tante. Io non le vedevo perché eravamo nei vari reparti, però quando andavamo a mangiare, andavamo in mensa, eravamo in tantissimi, non so quanti.
- Avevate la mensa interna?
Ci portavamo via il mangiare da casa; avevamo un posto, un salone in cui si andava a mangiare, ma ce lo portavamo via da casa».


20 Novembre 1953 - Articolo di Mirco Zanello 
sulle condizioni di lavoro alla ceramica Pagnossin
(''Il lavoratore della Marca Trevigiana''
organo della Federazione provinciale del PCI di Treviso).
Oltre che dal PCI, le indegne condizioni di lavoro 
alla Pagnossin furono sottolineate anche da una 
interrogazione al senato di Gerolamo Lino Moro, DC



Vai alla foto della
1953 - Sotto il segno della Vergine Maria
e del clero locale benedicente


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