Testimonianza di Teresina
T., S. Angelo di Treviso, 1938, registrata a San Lazzaro di Treviso il 21 luglio
2014
«Sedici lire orarie?
- Sì, è scritto qua sul
giornale.
Alla buon’ora, sedici! Se
ne prendevano otto, e dopo - quando abbiamo cominciato a protestare e dicevamo
che ci saremmo licenziate - ce ne davano undici, undici lire. E dopo… dopo non
mi ricordo più, perché sono venuta via, può darsi che dopo abbiano aumentato la
paga, no so.
- Quindi da Pagnossin è
rimasta poco.
Sono rimasta solo
quattro-cinque mesi.
- Chi le aveva trovato il
posto, per curiosità?
- Andava in bicicletta a
lavorare?
Sì.
- Passava per i
ponticelli [dei mulini di Canizzano]?
No.
- Per dove andavate?
Facevo il giro per San
Giuseppe.
- Perché non andava per i
ponticelli?
Non so, non piaceva
andare per di là: c’era l’acqua, c’era il Sile, e mia mamma mi ha insegnato la
strada per di là, e io sono andata di là.
- Era bella lunga
arrivarci in bicicletta.
Sì, era lunga, partivo
un’ora prima.
- Quante ore facevate?
Facevamo otto ore di
orario normale: dalle otto a mezzogiorno e dall’una alle cinque. Però dopo, con
la scusa che dovevano insegnarci a lavorare sul tornio, su quelle robe là, ci
tenevano là altre due ore, finché diventava buio. E quelle erano gratis.
- Beh, proprio gratis, vi
avranno dato qualcosa anche su quelle!
No, no. In quelle ore
dovevamo imparare.
- Come apprendiste.
Sì, come apprendiste. Eh,
eravamo proprio “schiavette”, ecco…
- Per dirla in parole molto
semplici.
Sì, ma adesso Pagnossin
non esiste più…
- Lei di che classe è?
Del 1938. Quando sono
andata da Pagnossin avevo quindici anni, sì, quindici, perché a sedici anni sono andata da Appiani.
- Quanto ci ha messo a
trovare il posto da Appiani, una volta licenziatasi da Pagnossin?
Eh, poco, poco, quasi
niente.
- Erano richieste,
allora, queste ragazze.
Sì, c’erano tante
assunzioni, quella volta là. Sono andata un mese, mi pare, avanti indietro una
volta alla settimana in portineria, e dopo mi hanno assunto.
- Anche da Appiani tramite
il parroco?
No, il parroco mi aveva
proposto di andare da Dal Prà, quello che è in fondo vicino allo stadio.
- Che faceva cosa?
Dal Prà faceva tessuti.
Però avevo sentito dire che era un po’ traballante, l’aveva sentito dire mia
mamma perché andava al mercato [ortofrutticolo] e sentiva le donne che
parlavano e dicevano che Dal Prà era un po’ traballante … e difatti, dopo otto
mesi che io avevo iniziato da Appiani, Dal Prà è fallito. Sono stata fortunata
di essere andata da Appiani, sono stata là otto anni.
- Com’erano le condizioni
da Appiani rispetto a Pagnossin?
Tanto bene, tanto meglio:
erano tutti gentili, erano di quelli che “ci tenevano di conto” alle ragazzine,
ai ragazzi, ai giovani.
Facevamo piastrelle. C’erano
due reparti: la fornace e la ceramica. In fornace facevano i prodotti e in
ceramica veniva scelti.
- E lei era?
In “cernita”. Era un
lavoro discreto, buono, e anche prendevo tanti soldi, non mi sembrava neanche
vero.
- Rispetto a…
Sì, si prendeva uno
stipendio normale. Da pensare che mio marito, a quel tempo là — io avevo 18 anni e mio marito andava a
lavorare da “Salice” [S.A.L.C.], qua a San Lazzaro — io prendevo 28 mila lire al mese appena
entrata e lui ne prendeva 32 mila: più di un uomo. Prendevamo bei soldi, da
Appiani.
- Eravate trattate bene.
Sì, bene.
- Mentre il ricordo che
ha di Pagnossin non è buono.
No. Dopo, quando io sono
rimasta a casa non so, perché non ho più avuto occasione di parlare con nessuno,
però fin che sono rimasta io, quei cinque mesi là, era una roba…
- Ad esempio cos’era la
roba più faticosa?
Le robe faticose erano “portare
le tavole”. Facevamo i piatti, facevamo i tazzoni,
facevamo i manici e dopo li portavamo in essiccatoio. Dovevamo fare le scale,
portare le tavole sulle spalle, ed erano più quelle che cascavano, che andavo
per terra… perché avevo quindici anni, pesavo quaranta chili, trentacinque, non
so neppure quanti, e cascavo. Era una roba brutta, bruttissima; mi è rimasto un
bruttissimo ricordo.
- Magari poi le decurtavano
anche lo stipendio.
No, non se n’accorgevano
neanche. Facevamo un fagotto e buttavamo là. Non era che fossimo tanto seguite
e poi per quei soldi che ci davano…
- Vi eravate organizzate …
qua [sul giornale] è messo che eravate andate dalle ACLI, dal sindacato…
No. Operaie normali. Non
so neppure se eravamo in regola, perché quando sono andata all’INPS … non è l’INPS
quello degli operai?
- Sì, quello della
pensione.
… Quando sono andata là
per vedere quanti contributi che mi avevano messo, da Pagnossin non mi avevano
messo niente. Hanno detto che non trovavano niente; e neanche da un’altra parte
che andavo. Sono andata anche in una tipografia, quando avevo quattordici anni,
e neanche lì mi hanno messo contributi: un pochi di soldini in più, ma non
contributi.
- Qual era questa
tipografia?
La tipografia Crivellari,
che era in piazza Sant’Agostino, poco più avanti … che dopo è venuta qua, l’hanno
portata a Sant’Angelo, vicino a Tiffany. Avevano fatto un prefabbricato e vi avevano
messo la tipografia Crivellari.
- Che adesso è Tiffany
[pasticceria], là.
Ah, ecco: dopo hanno
trasportato da Tiffany, vero!
- In somma il ricordo di
Pagnossin…
… È il più brutto dei
miei lavori.
- Il più brutto di tutti.
Sì.
- In quante ragazze sarete
state, in tutto?
Eh tante. Eravamo tante.
Io non le vedevo perché eravamo nei vari reparti, però quando andavamo a
mangiare, andavamo in mensa, eravamo in tantissimi, non so quanti.
- Avevate la mensa interna?
Ci portavamo via il
mangiare da casa; avevamo un posto, un salone in cui si andava a mangiare, ma
ce lo portavamo via da casa».
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1953 - Sotto il segno della Vergine Maria
e del clero locale benedicente
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