martedì 3 marzo 2015

Primo Baran e la vittoria del “due con” [Primo Baran, Renzo Sambo, Bruno Cipolla] a Città del Messico, 1968 - XIX Olimpiade


Primo Baran durante l'intervista con Camillo Pavan
(Foto di Luigino Smaniotto)

Trascrizione integrale dell’intervista presente su You Tube, registrata il 18 giugno 2014.


« La preparazione a questa XIX Olimpiade, Messico 1968: che tipo di preparazione atletica e invernale avete fatto?
Non una preparazione specifica vera e propria, ma una preparazione più accurata.
È stata curata prima di tutto la preparazione a terra. Avevamo il prof. Carlo Manzotti: veniva alla palestra Verdi, poi siamo andati alla palestra che era in fianco al mercato ortofrutticolo, che adesso è quasi abbandonata, alle Stiore.
[Questi allenamenti, “in notturna” sono ricordati anche da Magaly Vettorazzo in un articolo di Mauro Ferraro, “La regina Magalì compie 70 anni”, pubblicato sul Gazzettino e ripreso da Franco Piol]

- Cosa facevate?
D’inverno facevamo corsa a piedi, scatti, velocità, tutto quello che poteva essere…

- Interval training?
Lo facevamo in determinati periodi. Era una forma nuova che veniva fuori dall’atletica leggera; facevamo interval training solo per fare atletica, non in barca. Lavoravamo sui 100 metri, sulle distanze lunghe.

- Giovanni Granzotto, che ruolo ha avuto?
Noi non avevamo una palestra particolare al Dopolavoro Ferroviario, l’unica palestra che c’era era la palestra Verdi, dove c’era l’allenatore di lotta greco-romana Giovanni Granzotto. Andavamo con lui ad allenarci durante la settimana.

- Che tipo di lavoro facevate?
In gran parte il lavoro dei lottatori: lavoravamo con i pesi, lavoravamo a terra per il potenziamento e in più lavoravamo con degli esercizi particolari dei pesi sulla velocità.

- E sull’acqua invece?
Sull’acqua uscivamo pochissimo, solo al sabato e alla domenica.

Avevate sempre l’allenatore Carlo Biasin?
Sì, avevamo Carlo Biasin, però non si poteva essere allenati solo da lui. Perché lui era una persona anziana, avanti con l’età e la sua metodologia era datata, un po’ vecchia: si aggiornava con noi. E faceva fatica a starci dietro perché noialtri sentivamo a destra e a sinistra quello che si faceva. Ci hanno dato gli esercizi del Coni, lui li leggeva, però bisognava applicarli e si trovava un po’ in imbarazzo. In ogni modo era una persona che ci seguiva. A quell’epoca non c’era motoscafo, non c’era niente, e ci seguiva dall’argine del fiume.

- Avevate un allenatore federale specifico, allora?
No. All’epoca non veniva nessuno, solo quando andavamo a qualche raduno c’era l’allenatore federale.

- Quindi nessuno può dire: “Questi sono stati i miei allievi”.
Solo Biasin può dire una cosa del genere, perché siamo cresciuti con lui.

- Ricordo che anche Sambo aveva una grande ammirazione per lui.
Certo! Una persona della sua età che si dedicava a noi … era quello che ci aveva insegnato ad andare in barca.


La sede della Canottieri Sile dove si è svolta l'intervista
(Foto di Luigino Smaniotto)

- E poi era stato campione anche lui, in gioventù, non olimpico, ovviamente.
Mi sembra abbia vinto i campionati italiani di “jole a due” e “jole a 4”.
[A Pallanza, 1928 con la Canottieri Sile, Carlo Biasin vinse la Jole a due juniores con  Amilcare Severin e B. Biron timoniere. A Stresa nel 1932, con il Dopolavoro Ferroviario, vinse la Jole a quattro juniores con Sergio Zanaria, Roberto Stradiotto, Eugenio Galliera e Mario Saviolo timoniere - Cfr. Giorgio Garatti, sports e giochi nella Marca Trevigiana, p. 143]

- Che cos’è questa Jole?
Una barca da mare, una barca specifica molto larga che si adopera solo per far determinate gare in mare.

- Con la quale voi nel 1964 avete vinto a Taormina…
… i Campionati del mare: il primo exploit.

- Quindi la preparazione invernale è stata…
… in gran parte a terra.

- E quando avete iniziato invece le prime selezioni per arrivare al Messico? Avete fatto delle gare, immagino.
A quell’epoca vigeva la “tabella federale”: chi faceva la tabella federale, andava; erano dei tempi che dovevamo fare (nell’anno olimpico) per poter accedere alle olimpiadi.
In ogni modo, l’anno prima noi avevamo vinto gli europei, perciò eravamo già la barca “punto di riferimento”.

Per voi era spianato l’accesso alle olimpiadi.
No. Perché quando ce l’hanno chiesta, la tabella federale, l’abbiamo dovuta fare.

- Dove l’avete raggiunto questo tempo?
A Milano, in una semifinale del campionato italiano. Ci hanno chiesto la tabella, e io - parlando con il direttore tecnico - ho chiesto : “Posso farla nel giorno che voglio?”. Lui mi ha detto di sì, e io ho detto: “Va bene, la faccio domani”. Poi, vinto il campionato italiano, ci hanno fatto fare anche una prova a handicap con tutte le barche che volevano portare alle olimpiadi: due sono state scartate e il “quattro senza” e il “quattro con” sono venute, e sono venuti anche il due senza e un singolo di riserva. Cinque barche.

- Il tecnico federale, chi era?
Galli Pietro, di Como.

- Vi trovavate, avevate un buon rapporto?
Certo. Eravamo abituati ad allenarci per i cavolacci nostri ed è difficile che uno metta il naso se non ne hai fiducia.

- Mi racconti un po’ di questo viaggio, proprio il viaggio fisico. Dove avete preso l’aereo?
L’aereo l’abbiamo preso a Roma insieme a tutti gli altri atleti.

- Era un aereo dell’Alitalia.
No, mi sembra che fosse Lufthansa. Era un viaggio organizzato dal Coni per la prima parte degli atleti che dovevano andare alle olimpiadi. C’era l’atletica, c’erano altre persone, c’era anche Magaly Vettorazzo. È venuta a fare il salto in lungo [pentathlon, ndr]. Eh, la trovi! Guarda negli annali, leggi il libro di [Giorgio] Garatti, la trovi.

- Eh, Garatti: tutte le notizie le ho trovate nel suo libro: è fondamentale Garatti, ovviamente. E il viaggio com’è stato?
Lungo! Mi sembra una ventina d’ore.

- Avete fatto degli scali?
Sì. Mi sembra Francoforte.

- Non aveva paura dell’aereo!
Ci mancherebbe! […]

- Siete arrivati quanti giorni prima?
Quaranta giorni prima.

- Ah, perché questo mi chiedevo, a Città del Messico siamo a 2000 metri d’altezza e quindi…
2240 metri.


Messico 1968: non solo Olimpiadi. Nella notte del 2 ottobre
(a dieci giorni dall'inizio dei Giochi) i militari soffocarono nel sangue
una protesta studentesca a Piazza delle Tre Culture (Tlatelolco)

- C’era il problema dell’altitudine e vi siete allenati lì.
Siamo stati là trenta giorni prima di iniziare le olimpiadi, nel villaggio olimpico , e si andava al campo di gara a Xochimilco, a 15 - 20 km dal villaggio. Si andava con i bus dell’organizzazione.

- Era un bel campo di gara, ben attrezzato?
Sì. L’avevamo già provato l’anno prima, eravamo stati alle pre-olimpiche.

- In questi trenta giorni vi siete progressivamente ambientati.
Avevamo già seguito - prima di partire - una preparazione in altura, dapprima al lago [di Forte Buso], un laghetto che c’è andando giù dal Passo Rolle verso Paneveggio. Siamo stati lì circa venti giorni o forse più, poi una settimana-dieci giorni a Sestriere. Ma a Città del Messico c’è un altro clima, una differenza enorme. A Città del Messico non so all’epoca quante persone ci fossero, mentre dove si andava qua in Italia, in altitudine, non c’era tutta quella gente, non c’erano macchine. Lì era come trovare una metropoli; cosa posso dire: era come trovare Roma, il caos di Roma adesso. C’era lo smog, più l’altitudine.

- Com’è stato l'avvicinamento all’ultima gara?
Abbiamo fatto le batterie.

- Avete vinto?
No, siamo arrivati secondi: l’Olanda è arrivata prima e noi secondi.

- Sempre quella famosa Olanda.
Sempre l’Olanda che era la nostra bestia nera.

- Alle batterie siete arrivati secondi, e poi?
Passavano i primi due e siamo entrati in semifinale. In semifinale abbiamo vinto.

- Dicono i giornali che avete vinto proprio in scioltezza.
Beh, in scioltezza: vedono loro “in scioltezza”; bisogna sempre tirare, purtroppo la gara è gara. In ogni modo l’abbiamo vinta abbastanza comodamente, non abbiamo sfigurato più di tanto.

- Poi la finale. Ci sono stati solo due giorni di tempo.
Sì, un giorno sì e un giorno no. La semifinale è stata fatta giovedì e venerdì recupero; ci hanno dato il recupero venerdì perché  c’erano le “piccole finali”.

- Lei, mi sembra di aver letto, ha avuto anche dei problemi di respirazione.
Avevo una bronchite, l’avevo presa i giorni precedenti. Era in batteria quando stavo più male, poi in semifinale respiravo bene.

- Leggevo appunto commenti preoccupati, che Baran ha avuto la bronchite e ha dovuto fare delle endovenose, ovviamente antibiotici.
No, no. Non potevano darci antibiotici. C’era già il controllo antidoping. Il guaio delle medicine è tutto lì, che quando si va a certe gare … in quell’epoca iniziavano a fare il controllo antidoping, perciò nessuno più si fidava di darti medicinali.

- Quindi è guarito da solo.
Ma sì. Son cose che tu prendi, quando sei tirato all’osso è un attimo prendersi qualcosa. Bisogna smaltirla.

- Comunque già alle semifinali era a posto.
Sì eravamo già abbastanza … molto meglio della batteria. Mentre in batteria vedevo doppio, in semifinale ero normale.

- E finalmente arriva quest’ultimo giorno. La partenza avviene con un colpo di pistola?
No, a noi davano il via con la bandiera e con l’altoparlante. Parlavano in francese. Davano il via in francese, a quell’epoca; adesso lo danno in inglese. “Siete pronti?” Andate… ciao!

- Che tattica avete usato?
Eh, non ci sono tattiche! C’è poco da far tattiche, lì bisogna tirare al massimo, girare la manetta: quando vai in moto accendi, tiri e vai.

- Sul giornale è messo che voi avevate preparato la sera prima…
Ah, tutte bazzecole! Non si prepara una gara la sera prima. La gara viene preparata in base agli avversari.
Noi sapevamo che questi avversari, ma era da tre anni che li conoscevamo, partivano fortissimi, questi olandesi, e ci davano cinque secondi nei primi mille metri: 3’’ ai primi cinquecento e 3’’ nei secondi cinquecento. Questo era il vecchio sistema. Poi mantenevano il distacco dai mille ai millecinquecento e nei cinquecento metri finali loro perdevano tre secondi.
Noi avevamo, probabilmente, più resistenza allo sforzo e arrivavamo sempre con quei due secondi, due secondi e mezzo, tre secondi in ritardo da loro. Allora cosa dovevamo fare? Dovevamo sveltire il più possibile i primi cinquecento - mille metri. Ma questo non avviene in un giorno, avviene in anni di preparazione. Non è che puoi inventarlo lì: abbiamo fatto quello che avevamo provato in allenamento, a casa, tantissime volte. Solo che nessuno sapeva, nessuno si era accorto che avevamo cambiato tipo di preparazione, tipo di partenza. Ci eravamo incontrati una volta sola, con loro, ad Amsterdam, e noi avevamo una corsia quanto mai balorda: loro sono andati in finale e noi no.

- Invece stavolta …
Non si sono accorti che noi avevamo cambiato proprio metodo; non se ne sono accorti nemmeno in batteria, perché in batteria io stavo male. E allora - primi e secondi siamo lì - chissefrega di tirar di più, non c’interessava, tanto passavano i primi due.
Se ne sono accorti, a spese loro, quando siamo stati in finale: nei primi cinquecento metri, anche se i giornali ci danno che siamo rimasti indietro, non è vero, perché se guardi il filmato dell’epoca vedi che noi siamo punta a punta con tutti. Ai mille metri è successo altrettanto: son passati loro, ma avranno avuto un metro di vantaggio, non cinque secondi. Loro, dai mille ai millecinquecento hanno dovuto forzare al massimo per guadagnare il tempo che sapevano che avrebbero perso negli ultimi cinquecento metri, e non ci son riusciti, son riusciti a passare con due secondi e non con cinque. E lì si son tagliati le gambe da soli.

- In quel momento avete capito che…
Beh, in quel momento avevamo tante possibilità, e quando abbiamo deciso di partire siamo partiti, li abbiamo sorpassati e abbiamo vinto noi.

- Riporto una frase: “Il timoniere Cipolla ha chiesto se ci sentivamo di produrre il serrate”.
Il “serra” sarebbe di aumentare i colpi perché ormai manca poco all’arrivo, per vedere di vincere ‘ste gare. Per il timoniere è compito suo: lui grida. Poi siamo noi … se abbiamo o non abbiamo fiato dentro!

- Lui ha gridato, e voi…
… sì, siamo andati!

- E lo stadio di diecimila persone è esploso in un grande applauso.
Già avevamo i messicani che facevano il tifo per noi. Gli italiani che c’erano, più i messicani… Ma normalmente non è che si capisca che il tifo è per te o per altri. Si sente gridare, e basta. Tu senti una gran confusione, sei al massimo, perciò quello che hai nelle tue orecchie … senti solo grida, senti solo urlare, non sai per chi.
E abbiamo vinto

- Immagino la gioia enorme. Cosa si sente in quei momenti lì (domanda banalissima)?
C’è chi reagisce in un modo e chi reagisce in un altro. Cipolla non stava nelle sue, noi eravamo già più contenuti; eravamo contenti, ci siamo dati la mano, così. L’emozione viene poi.


Il campione olimpico Renzo Sambo (1942-2009)
compagno di voga e amico di Primo Baran
in una foto del 1987 al CRAL Ospedalieri

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